ARCIDIOCESI DI LANCIANO - ORTONA
Comunità Parrocchiale San Tommaso Apostolo - Ortona
INCONTRIAMO GESU'
VI Lettera Pastorale 2014-2015
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Arcidiocesi di Lanciano-Ortona
COMUNITA’ PARROCCHIALE
S. TOMMASO APOSTOLO - ORTONA
Incontriamo Gesù
Lettera Pastorale 2014-2015
Siamo stati amorevoli in mezzo a voi,
come una madre che ha cura dei propri figli.
Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi
non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita,
perché ci siete diventati cari.
1Ts 2,7b-8
Carissimi,
L’anno pastorale, che stiamo vivendo, e la celebrazione del quinto centenario della fondazione della Chiesa Frentana, sono un tempo particolare che Dio per Grazia e Bontà ci dà, offrendoci ancora la possibilità di convertirci a Lui, concretizzando ogni intuizione che lo Spirito Santo suscita dove vuole e per mezzo di chi vuole.
E’ Lui che ci ha chiamato “fin dal seno materno,” è Lui che ci ha costituito suoi figli per mezzo dei sacramenti, è Lui che ci salva con il suo amore.
Il frontespizio della lettera a Tessalonicesi di Paolo ci serve per comunicarci l'immagine di Chiesa con la guida “Incontriamo Gesù”, (che con questa lettera voglio presentarvi brevemente): l'Ecclesia mater. È fra le più antiche. Ricordiamo l'affermazione di Cipriano: «Nessuno può avere Dio per Padre, che non abbia la Chiesa per madre». È la madre dei Cristiani, come Eva era stata la madre dei viventi: «è nata dal fianco ferito del Signore, come Eva dal fianco di Adamo». Gli Orientamenti dichiarano brevemente, ma incisivamente: «La Chiesa si mostra madre proprio quando genera alla vita di Dio e alla fede cristiana» (n. 47). Ancora prima si può leggere: «In quanto madre, la Chiesa è "grembo accogliente, comunità di credenti in cui si è generati come figli di Dio e si fa l'esperienza del suo amore"» (n. 29). Non è certamente l'unica cosa che, quanto al suo mistero e alla sua missione, nel testo si dica della Chiesa, ma è la più pregnante e questo proprio nel significato etimologico e letterale del termine, ossia la più generativa.
In secondo luogo ci dice qualcosa sullo «stile», che deve informare la vita di un evangelizzatore, di una catechista o di un catechista. L'idea viene fuori dall'uso che ne fece J. M. Bergoglio, ora Papa Francesco. Scrivendo ai suoi catechisti di Buenos Aires, ricordò loro che nell'accompagnare i processi di fede debbono farsi «prossimo», come Maria quando si fece vicina alla sua parente Elisabetta. E ciò, quasi decentrandosi da sé e facendo propria la «pedagogia di Dio, che sa fare della vicinanza la sua identità, il suo nome, la sua missione». In un'altra circostanza, sempre parlando ai catechisti, Bergoglio spiegava che devono «accompagnare la vita dei ragazzi con cuore di padre e di fratello».
E nel suo intervento al Convegno Ecclesiale di Roma, la sera del 16 giugno scorso: «La sfida grande della Chiesa oggi è diventare madre: madre! […] Se la Chiesa non è madre, è brutto dire che diventa una zitella, ma diventa una zitella! È così, non è feconda. Non solo la Chiesa genera figli, ma generando figli esprime la sua vera identità, cioè evangelizzare, come dice Paolo VI nell'Evangelii nuntiandi. Poiché l'identità della Chiesa è evangelizzare, generando figli […] deve cambiare, cioè convertirsi per diventare madre. Deve essere feconda! La fecondità è la grazia che noi oggi dobbiamo chiedere allo Spirito Santo, perché possiamo andare avanti nella nostra conversione pastorale e missionaria. Non si tratta di andare a cercare proseliti, no, no! [...] La Chiesa - ci ha detto Benedetto XVI - non cresce per proselitismo, ma per attrazione materna; per questo deve offrire la testimonianza della tenerezza della maternità, che genera sempre più figli. È un po' invecchiata la nostra Madre Chiesa […] La Chiesa diventa più giovane quando è capace di generare più figli; diventa più giovane quanto più diventa madre. Questa è la nostra madre, la Chiesa [...] Vogliamo una Chiesa di fede, che creda nel Signore, capace di essere madre di tanti figli: la nostra Santa Madre Chiesa».
Il testo: Incontriamo Gesù
Presento ora un profilo di lettura del testo che ha un indice assai semplice.
- Il Titolo «Incontriamo Gesù» esprime sinteticamente (potremmo dire lapidariamente) l'obiettivo dell'annuncio e della catechesi: l'incontro di grazia con Gesù. La forma del verbo alla prima persona plurale sottolinea (come nei simboli di fede) la dimensione ecclesiale di questo incontro.
- L'Introduzione, assai breve, mostra lo scopo e i destinatari degli Orientamenti, nell'attuale contesto culturale e ecclesiale. Il tono non è celebrativo. Da subito si pongono accanto ai motivi positivi anche i problemi, le difficoltà, le inadempienze – nonché i ritardi – di questi decenni. L'introduzione si conclude, però, con un grazie per il cammino dell'evangelizzazione dal DB a oggi.
- Il Capitolo I "Abitare con speranza il nostro tempo. Il nuovo impegno di evangelizzazione" si inserisce nell'oggi per divenire efficace in seguito. Infatti è necessario sottolineare maggiormente i "segni di speranza" del nostro tempo, considerando la «cultura contemporanea come strada di missione» e non solo come ostacolo» , senza, però, nascondere le "esigenze di conversione" (nn. 9-10). Si vuole contestualizzare il dinamismo della Fede (nn. 11-14) per poi descrivere l'evangelizzazione come orizzonte e processo (identità, soggetti, passaggi, rapporto tra evangelizzazione – annuncio – catechesi, catechesi per adulti e giovani). Il n. 27 dal titolo «Sapere Gesù» è un paragrafo nodale, perché riassume tutto il movimento dell'azione evangelizzatrice.
- Il Capitolo II "Annunciare il Vangelo di Gesù. Il coraggio del primo annuncio" è interamente dedicato ovviamente al Primo annuncio. Accanto ad una parte, per così dire descrittiva nei nn. 36-41, si cerca di tratteggiare quelle «soglie» attraverso le quali si può concretamente operare una pastorale di annuncio. Il capitolo si conclude con delle Proposte pastorali (così anche il III e il IV capitolo) tra le quali i "Laboratori sull'annuncio".
- Il Capitolo III "Iniziare, accompagnare e sostenere l'esperienza di fede. Il cammino della Iniziazione cristiana" si concentra sull'Iniziazione cristiana, la Prima l'Iniziazione cristiana degli adulti (catecumenato), quindi gli itinerari per bambini e ragazzi. Nelle Proposte pastorali si trova abbozzata una proposta di itinerario per i bambini da 0-6 anni e 6-12 anni, con la richiesta che in un immediato futuro l'UCN formuli proposte più organiche e definisca i passaggi di revisione dei catechismi. Il n. 61 è dedicato alla celebrazione dei sacramenti soprattutto della Confermazione.
- Il Capitolo IV "Testimoniare e narrare. Formare servitori del Vangelo" è sul ministero e la formazione di evangelizzatori e catechisti. È di fatto il capitolo più innovativo. Quanto alla "ministerialità dei catechisti" (cf. n. 76-78) il Consiglio Episcopale permanente ha inteso, per così dire, rafforzare il Mandato del Vescovo, che non dovrebbe essere generico, o episodico. Anche per i padrini/madrine si propone una scelta, rafforzando queste figure e lasciando come «testimoni» del rito altre persone scelte dalla famiglia, che non hanno i requisiti canonici per svolgere il ruolo di padrini/madrine (cf. n. 70). La parte finale del capitolo IV si occupa della formazione dei catechisti e del profilo degli Uffici diocesani, regionali e quello nazionale.
- La Conclusione è breve e vuole sintetizzare nell'ambito della comunità domenicale l'impegno di evangelizzazione e di catechesi.
Alla luce del documento ricordato, penso di dare questa lettura per la nostra comunità parrocchiale di s. Tommaso.
1. Non di rado la fede che viviamo è una fede morta in se stessa, perché non presenta nessun riferimento al mistero pasquale. Di fatto viviamo una ritualità religiosa, fatta di gesti assunti e di riflessioni acquisite più per tradizione – o dato di fatto - che per convinzione. Questo lo si vede nella pastorale della nostra Comunità che, laddove esistesse, è colma di trascinamenti e abitudinarietà ritualistica. Così alla letizia per la Speranza incontrata, viviamo una rassegnazione accomodante che, di fatto, impedisce un qualsiasi movimento verso la perfezione evangelica.
Occorre ripartire da questo sguardo rinnovato dall’incontro con il Signore. Per farlo, occorre con urgenza, ed ognuno davanti alla propria coscienza conosce i confini di tale urgenza, ridestarsi dal sonno, dall’abitudinarietà, dal sedentario e accomodante vissuto costruito sulle traballanti convinzioni umane. Nei racconti della resurrezione possiamo ritrovare come caratteristica determinante “il correre”. Corrono Pietro e Giovanni verso il sepolcro vuoto; corre Maddalena dal sepolcro vuoto per recare la notizia meravigliosa che quanto Cristo aveva detto era realmente accaduto; corrono i due di Emmaus che prima dell’incontro con il risorto “se ne andavano”, dice il Vangelo, “tristi”.
La gioia dell’incontro provoca l’azione. Osserviamo con cura la nostra Comunità, le nostre celebrazioni comunitarie, i nostri volti, le nostre preghiere: mancano di speranza perché mancano della gioia dell’incontro. Il più delle volte risultano essere stanche, ripetitive, senza cuore.
Occorre, dunque, riconsiderare la nostra appartenenza a Cristo; verificarla alla luce del Vangelo e della Tradizione bimillenaria delle Chiesa, che di Lui è prolungamento storico. Troppi personalismi hanno invaso il territorio sacro del pensiero di Cristo, del suo Cuore; troppe saggezze umane hanno offuscato la lucentezza della sapienza divina.
In concreto, cambiare stile di partecipazione alla Liturgia Eucaristica: perché vado a Messa? Chi incontrerò nella Messa? Perché vado a pregare e Chi vado a pregare? Mettersi in ascolto attento e vigilante della Parola, che è Parola di Dio. È assurdo che mentre ricordiamo con tanta cura anche le virgole dei discorsi sciocchi, nemmeno abbiamo la percezione di quanto viene proclamato dall’ambone, o in altre Assemblee. Non si può continuare a sorridere o far finta di nulla al pensiero che la maggior parte di noi, non solo dopo essere “uscito da Messa,” ma addirittura al termine di una lettura, non sappia quanto Dio ha comunicato in quella lettura. E poi la carità: la carità cristiana, cioè di Cristo. V’è una sostanziale differenza tra la Carità di Cristo e le carità umane. La prima è gratuita, è dono, è gesto del cuore, è azione quotidiana, è sacrificio, … è Cristo. Le seconde sono tutto al più il risultato di un gesto perbenistico, magari progettato attorno ad un tavolo. Ma resta chiaro che, mentre con la prima ci si salva, con la seconda ci si danna. Liturgia, Parola e Carità, vissute alla luce della fede pasquale, sono la sfida di una nuova evangelizzazione che saprà affascinare quanti incontreremo.
2. Non dobbiamo illuderci di poter fare tutto da noi. Abbiamo bisogno di Dio, del suo paterno aiuto alle nostre umane difficoltà. Egli, il provvidente ci ha dato tutto ciò che poteva offrirci donando Se stesso nel suo Figlio Gesù. Abbiamo bisogno di questo Dio incarnato: “come la cerva anela ai corsi delle acque così a Te anela la mia anima, o Dio”. Abbiamo questa sete?
Abbiamo questa sete, quando ci rechiamo a celebrare l’evento, fonte e culmine della nostra vita, qual è l’Eucaristia? Sentiamo questo bisogno di intimità con Dio così come Cristo ci ha insegnato vivendo gran parte della sua vita, ritirato in preghiera con il padre Suo e nostro? Perseverare: insistere, perdurare, restar saldo, continuare…sono solo alcuni dei sinonimi che sottolineano il riferimento alla perseveranza. Ma, onestamente fratello e sorella mia, nella tua vita è proprio così?
Per molti pregare sembra quasi una routine meccanica e senza cuore. Lo notiamo con quale abitudinarietà e superficialità viviamo la preghiera comunitaria. Ma se è così quella assembleare, come sarà la preghiera personale? Certo sgranare “Pater noster” e “ave Maria” come si è appreso da bambini porterà qualche suo frutto…ma è possibile che mentre tutto intorno a noi cresce e noi stessi cresciamo, la nostra fede e la nostra preghiera invece restano la fede e la preghiera di sempre?
Sant’Agostino diceva che pregare è dialogare con Dio: provate per un istante a cosa debba pensare Dio di certi nostri “dialoghi” con Lui? E che dire dell’Eucaristia? E che dire della meditazione…possibilmente non quella yoga o indù, ma quella cristiana…considerato che cristiani siamo?
Senza preghiera non c’è azione; e quando un’azione è guidata dalla preghiera autentica la si vede. Pregare e perseverare nella preghiera, nell’ottica della parabola evangelica dell’amico che giunge nel mezzo della notte, significa avere piena fiducia in Colui che preghiamo e che sa di cosa realmente necessita la nostra vita.
Parafrasando una frase del Santo Padre Giovanni Paolo II ai giovani, ed estendendolo a tutti, è tempo di manifestarci come “sentinelle del mattino” e non come degli stanchi dormienti, privi di speranza, abituati alla vita. Chi veglia nella notte e attende l’alba vigilante lo fa perché ha uno scopo.
Così, anche noi cristiani del III Millennio, dobbiamo recuperare questo scopo della vita per poterlo perseguire con lieto desiderio, con forte e ferma volontà e con perseverante preghiera. Questo scopo ha ancora lo stesso Nome, sotto il Quale solamente c’è salvezza: Gesù Cristo.
3. L’Incontro con Gesù è un fatto personale prima che comunitario. Dio vuole incontrare ciascuno di noi.
E’ un appello personalizzato di Dio, uno per uno (Dio non fa clonazioni!), per cui ognuno ha la sua chiamata, il disegno progettuale che lo riguarda. Tale vocazione-progetto tocca le scelte fondamentali della vita ed è dotato di risorse che Dio garantisce per una realizzazione fedele e felice.
Alla scuola del Vangelo possiamo dire che la vocazione di Dio è sempre all’amore e al servizio della vita del prossimo. L’Amore e il servizio si rendono concretamente visibili in due direzioni.
La prima è la vocazione al matrimonio e alla famiglia. Sono note l’incertezza e la crisi su questo punto. Ciò avviene perché non si riesce più a capire questo straordinario vincolo di amore fra uomo e donna ed ad impostarlo come vocazione, e di conseguenza non c’è più la capacità di accettarne i sacrifici per gustarne l’immenso valore di sacramento dell’amore di Dio.
La seconda è la vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata. Ma proprio al servizio della vita vi è, nel tanto chiasso che ci circonda, una voce, una chiamata che rischia di restare soffocata, ai margini: Ve ne parlo non per questione di numero (giacché risaputo che i nostri seminari e conventi sono in bassa marea da tempo), ma per questione di qualità della fede di tutti noi, in quanto questo tipo di vocazione speciale è come l’ago di verifica della generosità di una intera comunità e, in essa, delle singole famiglie cristiane. Giovanni Paolo II a Tor Vergata: “Se qualcuno di voi, cari ragazzi e ragazze, avverte in sé la chiamata del Signore a donarsi totalmente a lui, non si lasci frenare dal dubbio e dalla paura. Dica con coraggio il proprio “sì“ senza riserve, fidandosi di lui che è fedele in ogni sua promessa”.
Ogni segno di chiamata va considerato con onestà e serietà: da essa dipende l’esito della vita…l’unica che avete! Invito quindi, in modo particolare la gioventù, a riconsiderare con oggettività e impegno l’agire volto alla vita, cioè le azioni e le scelte che poniamo in atto oggi e che dell’oggi e del domani determineranno la beatitudine o l’infelicità: se domani avrete da piangere sarà per la vostra mancata adesione a Cristo, oggi. Questo significa che “i nostri atti ci seguono”.
“Mettete la vostra fede in stato di catecumenato”, costruite, come chiese il Santo Padre Giovanni Paolo II, il “laboratorio della fede”, cioè un percorso articolato, a tappe, in cui maturare la componente mistica della vostra personalità, dare alla vostra vita una solida spiritualità cristiana. Essa si compie con una frequentazione seria della Parola di Dio nella Bibbia con la Lectio Divina, approfondita nella catechesi della comunità; si nutre di preghiera (ed è utile, prima, imparare a pregare per trovare il gusto di pregare); fa della Domenica e dell’Eucaristia la fonte rigenerativa della settimana; coltiva la ricerca e l’approfondimento anche culturale della fede, ponendo le domande, i dubbi, le questioni che, in questo contesto multiculturale e confuso, ogni uomo di oggi esprime. Impegnatevi, perciò a trovare le risposte prima per voi, poi per raccontare agli altri i motivi della vostra scelta di fede.
La Vergine Maria, che, fidandosi di Dio, ha detto quel Sì che ci ha donato la grazia del Salvatore, sostenga il cammino di ognuno, perché al Signore che passa ancora per le nostre vie chiamando all’opera di Dio Padre, corrispondano cuori generosi che realmente, non a parole, lascino tutto il superfluo per arricchirsi dell’Essenziale.
“Incontrare Gesù”, come Tommaso significa prostrarsi ai suoi piedi, ripetendo con fede “Signore mio e Dio mio” e camminare con Lui lungo le strade del mondo. Il grande filosofo Soren Kierkegaard dice: La strada non è impossibile, da quando l’Impossibile si è fatto nostra strada
Vorremmo chiudere parafrasando un saluto di Paolo:
« A quanti sono in Ortona amati da Dio e santi per vocazione, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo. Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la vostra fede cresca ogni giorno. » (Rm 1,7-8)
Vi auguriamo un sereno Natale e uno sfavillante inizio del nuovo anno 2015.
d. Pino, p. Giorgio. d. Tarcisio e Diacono Tommaso