Lettera Pastorale 2017-2018

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Arcidiocesi di Lanciano-Ortona 
Comunità Parrocchiale san Tommaso apostolo  Ortona 

Lettera Pastorale 2017-2018 




O Gesù m'abbandono in Te, pensaci tu!
"Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera"

 



L’anno pastorale che abbiamo iniziato, è un particolare tempo che la grazia e bontà di Dio ci dà a vivere, offrendoci ancora la possibilità di convertirci a Lui concretizzando ogni intuizione che lo Spirito Santo suscita dove vuole e per mezzo di chi vuole.
       Desidero che venga vissuto da tutti nella triplice esortazione dell’Apostolo che invita i fedeli della chiesa di Roma a conformare, diversamente da come fa il mondo, il proprio agire e il proprio sguardo sulla realtà al pensiero di Cristo Gesù.

Essere lieti nella speranza

       Non è conforme alla letizia del mondo la letizia che proviene dall’incontro con Cristo, nostra speranza. La letizia che viene dal mondo fiorisce avvizzisce nell’avvicendamento di una giornata; la letizia che viene da Cristo, invece, non vede alba ne consoce tramonto: essa è radicata nell’eternità. Dall’eternità viene l’invito che bene è esplicitato nella Liturgia Eucaristica: “In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore”. La speranza è infatti la persona del Signore risorto, alla quale dobbiamo ritornare a dare il giusto risalto e porre l’adeguata attenzione. Non è difficile ritrovare in noi cristiani una certa mentalità da venerdì santo, disincarnata troppe volte dall’alba della resurrezione. La Letizia degli Apostoli e di Maria proviene dall’aver visto il Signore, dopo la sua drammatica morte. Quell’incontro risulta determinante per il resto dei loro anni. Anche per noi è necessario avere questo incontro con il Risorto, il Vivente. Se ci interroghiamo su ciò che è essenziale nel cristianesimo, sul nucleo centrale e costitutivo della nostra fede e della nostra sequela, dovremo rispondere che non sono dei dogmi teologici, delle norme morali, un culto liturgico, una legge canonica, una gerarchia istituzionale, una Chiesa, un libro rivelato, ma la persona di Gesù Cristo che è morto per i nostri peccati ed è risuscitato per la nostra salvezza. Egli è il Messia, il Figlio di Dio, il suo volto umano; è la pietra angolare di tutto l'edificio, perché soltanto Cristo è la via, la verità e la vita.
Tutto quello che è stato elencato prima è una parte complementare del fatto cristiano fondamentale: Gesù di Nazareth. Essere cristiano è accettare con la fede e la condotta Cristo Gesù, Dio fatto uomo, perché il Gesù storico è il Cristo della nostra fede, il Figlio di Dio e l'unica via per arrivare a lui.
Davanti alle vie, ai sistemi e ai regolamenti di condotta, Cristo è la Via; davanti alle verità, ai principi e alle ideologie, Cristo è la Verità; davanti alle promesse, alle forme, ai metodi e ai generi di vita, Cristo è la Vita. Cristo è la via che conduce alla verità e alla vita, come affermarono i santi Padri. Effettivamente, camminando facciamo strada, ma solo se camminiamo con Gesù e i fratelli. Poiché non troveremo il Signore se non nel prossimo, specialmente nel più umile, secondo le sue stesse parole: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40).
Cristianesimo, giudaismo e islamismo sono le tre grandi religioni monoteistiche, professate da milioni di uomini nel mondo. Se ci chiedessimo che cosa distingue in modo specifico il cristiano dai fedeli di queste altre due religioni, dovremmo rispondere che il suo Dio è il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Dio che egli ci ha rivelato: Dio uno in tre persone, Dio padre e amico degli uomini, specialmente dei poveri, il Dio del Magnificat di Maria, la Madre del Signore.
Chi è il cristiano?
E che cosa differenzia il discepolo di Cristo da un non credente? Che aggiunge la sua fede alla realtà quotidiana e prosaica della vita umana? Dato che il cristiano è chiamato ad aver parte nella vita di Cristo ed è fatto già figlio adottivo di Dio attraverso il dono dello Spirito, è Gesù l'archetipo che deve seguire il discepolo fino alla totale identificazione con lui. Essere cristiano significa rivestirsi di Cristo e avere i suoi stessi sentimenti e atteggiamenti nella vita e nella condotta.
Nel cristiano autentico si avverte una visione della vita, dell'uomo, dei mondo e dei problemi umani sotto una luce diversa; è la sua fede pasquale. Si nota in lui una stabilità psichica che vince la meschinità e la disperazione, una pace che si impone alle difficoltà e allo scoraggiamento, una gioia che supera la tristezza e il malumore.
Tutto questo è frutto della speranza cristiana.
E, soprattutto, la cosa più attraente nel suo modo di fare è l'apertura agli altri, l'accettazione che non discrimina, lo spirito di servizio e il dividere con gli altri - specialmente con il più umile - i suoi beni, il suo tempo é la sua persona. Questa è l'esperienza vissuta della carità e della fratellanza in Cristo.
I tre atteggiamenti fondamentali dei discepolo: fede robusta, speranza gioiosa e carità ardente, costituiscono la struttura personale dei cristiano, la sua vita nuova in Cristo, la cosiddetta «vita teologale», la sua esiste in Cristo, poiché la sua vita è Gesù risorto, vincitore del peccato e di tutto quello che è e produce morte. Essere testimone di questa vita è onore e dovere del cristiano.
Non di rado la fede che viviamo è una fede morta in se stessa perché non presenta nessun riferimento al mistero pasquale. Di fatto viviamo una ritualità religiosa, fatta di gesti assunti e di riflessioni acquisite più per tradizione –o dato di fatto- che per convinzione. Questo lo si vede nella pastorale della nostra Comunità che, laddove esistesse, è colma di trascinamenti e abitudinarietà ritualistica. Così alla letizia per la Speranza incontrata, viviamo una rassegnazione accomodante che, di fatto, impedisce un qualsiasi movimento verso la perfezione evangelica. Troppi sono i tornaconti che abbiamo sposato di questo mondo; troppa è la mentalità lontana da Cristo e così estremamente e poveramente umana. “Siete in questo mondo, non di questo mondo”. La speranza suscitata da Cristo muove, incita, spinge. Chi lo ha incontrato, nella personale vicenda storica, non può rimanere amorfo davanti alla bellezza del mondo che chiama; un mondo che, non dimentichiamolo mai, reca in sé i lineamenti del suo Creatore. Per fare questo occorre spogliarsi della fede preconfezionata e seguire con rinnovato entusiasmo e desiderio Colui che ancora ci precede. In concreto, cambiare stile di partecipazione alla Liturgia Eucaristica: perché vado a Messa? Chi incontrerò nella Messa? Perché vado a pregare e Chi vado a pregare? Mettersi in ascolto attento e vigilante della Parola, che è Parola di Dio. È assurdo che mentre ricordiamo con tanta cura anche le virgole dei discorsi sciocchi, nemmeno abbiamo la percezione di quanto viene proclamato dall’ambone, o in altre Assemblee. Non si può continuare sorridere o far finta di nulla al pensiero che la maggior parte di noi, non solo “uscito da Messa” ma addirittura al termine di una lettura, non sappia quanto Dio ha comunicato in quella lettura.

Essere forti nella tribolazione

       Vivere la vita alla luce dell’incontro con il Risorto, comporta quasi necessariamente l’adesione anche alla sua Croce. Diceva un Padre della Chiesa: “Se è vero quanto Cristo afferma, che quanti lo seguono meriteranno come Lui persecuzione, c’è da dubitare che un cristiano non perseguitato sia veramente un cristiano”. L’espressione è forte, ma risulta estremamente e concretamente verace.
Nel Sacramento della Confermazione, lo Spirito Santo ci dona, insieme al suo sigillo che ci lega indissolubilmente a Cristo e alla Chiesa, anche la sua forza. Se non la si vive è forse perché anche di questi doni spirituali, molto probabilmente, non ne consociamo appieno il contenuto. A che dobbiamo il dono della fortezza? Certo per resistere alle tentazioni, evitare il male e compiere il bene, ma per secoli quanti ci hanno preceduto nel segno della fede e, ora, dormono il sonno della pace, hanno dovuto fare i conti con persecuzioni e prove. Quante testimonianze possiamo raccogliere nel martirologio di uomini e donne, vecchi e bambini che anche davanti al sacrificio della vita, hanno preferito perdere la vita per mantenersi fedeli alla sequela del Maestro. Certamente il martirio non lo si cerca. Non è cristiano ricercare la sofferenza e, perfino la morte. Ma è Cristiano, aderendo alla Verità e sapendola distinguere dal Male, essere preparati anche a ricevere il martirio. Martirio non solo effondendo il proprio sangue, ma penso anche a quei martìri ai quali si è chiamati quotidianamente: l’isolamento, l’incomprensione, la calunnia, i giudizi temerari, le falsità…
       La fortezza è l’asse portante per il combattimento spirituale: un combattimento contro le mollezze e le ovvietà del quotidiano; una lotta contro il male; una resistenza attiva al disarmo interiore, alla rassegnazione di vivere senza ideali forti e degni; una guerra aperta alle seduzioni del piacere facile, al decadimento morale che porta a ritenere bene o male ciò che piace o non piace, al guadagno procurato contro la Legge di Dio e la coscienza.  La presenza di Cristo nel suo popolo è reale ed efficace, perché agisce per mezzo del suo Spirito, della sua parola e dei sacramenti della vita cristiana, tra i quali si distingue la continua attualizzazione dell'eucaristia.
Perciò se leggiamo la scena evangelica di Mt.14,22-33 ha validità in ogni tempo, sia nella vita comunitaria che in quella personale dei credenti, in quanto è una lezione di fede davanti alle crisi, ai dubbi e ai fantasmi della paura.
La figura di Pietro sull'acqua, in bilico tra la fiducia e la paura combattuto tra lo scoraggiamento e l'ascolto di Dio, ci mostra che il cammino dell'uomo verso Dio, cioè, la fede, si attua superando l'oscurità del dubbio timoroso. Diffidiamo del mistero di Dio e ci risulta difficile abbandonarci nelle sue mani. In breve, abbiamo paura di fidarci di Dio, di credere veramente in lui. Perché per credere dobbiamo prescindere dalle nostre sicurezze tanto «ragionevoli», lasciare la terra ferma per camminare sopra le onde in tempesta o tra le dune mobili del deserto della vita.
Non arriviamo a capire che la fede in Gesù è il suo invito a firmare in bianco un'assicurazione evangelica contro ogni rischio, dato che egli ci offre una certezza e una fiducia superiori a ogni sicurezza umana, una garanzia totale che non ha niente a che vedere con le cautele del nostro meschino egoismo. Senza voler rischiare niente, attanagliati dal fantasma della paura, non si può credere in Dio.
Quando nel nostro ambiente si offuscano i segni di Dio perché nel mondo mancano l'amore e l'amicizia, nel matrimonio la fedeltà, nella società il rispetto per la vita, la giustizia e i diritti umani; quando il bene e la verità sembrano battere in ritirata davanti alla spinta del male e della menzogna; quando siamo colpiti con asprezza dalla malattia, dagli incidenti e dalla sventura ... allora inevitabilmente ci diventa più difficile continuare a credere in Dio e negli uomini.
Nascono le crisi di fede, il dubbio su Dio e la disperazione per l' «impossibile » fratellanza umana, siamo circondati dalla paura, si fa strada in noi lo scoraggiamento, ci domina la sfiducia nel futuro.
Sono tutti segnali inequivocabili di una fede debole in balia delle intemperie e senza radici, tanto nei giovani che negli adulti. Allora dobbiamo pregare con Pietro: «Salvami, Signore!».

Essere perseveranti nella preghiera

       Non dobbiamo illuderci di poter fare tutto da noi. Abbiamo bisogno di Dio, del suo paterno aiuto alle nostre umane difficoltà. Egli, il provvidente ci ha dato tutto ciò che poteva offrirci donando Se stesso nel suo Figlio Gesù. Abbiamo bisogno di questo Dio incarnato: “come la cerva anela ai corsi delle acque così a Te anela la mia anima o Dio”. Abbiamo questa sete?
       Abbiamo questa sete quando ci rechiamo a celebrare l’evento, fonte e culmine della nostra vita, qual è l’Eucaristia? Sentiamo questo bisogno di intimità con Dio così come Cristo ci ha insegnato vivendo gran parte della sua vita, ritirato in preghiera con il padre Suo e nostro? Perseverare: insistere, perdurare, restar saldo, continuare…sono solo alcuni dei sinonimi che dicono riferimento alla perseveranza. Ma, onestamente fratello e sorella mia, nella tua vita è proprio così?
       Per molti pregare sembra quasi una routine meccanica e senza cuore. Lo notiamo con quale abitudinarietà e superficialità viviamo la preghiera comunitaria. Ma se è così quella assembleare come sarà la preghiera personale? Certo sgranare “Pater noster” e “ave Maria” come si è appreso da bambini porterà qualche suo frutto…ma è possibile che mentre tutto intorno a noi cresce e noi stessi cresciamo, la nostra fede e la nostra preghiera invece restano la fede e la preghiera di sempre?
       Sant’Agostino diceva che pregare è dialogare con Dio: provate per un istante a cosa debba pensare Dio di certi nostri “dialoghi” con Lui? E che dire dell’Eucaristia? E che dire della meditazione…possibilmente non quella yoga o indù, ma quella cristiana…considerato che cristiani siamo?
       
       Si dice che al giorno d'oggi c'è una crisi di preghiera tra i cristiani; che si prega poco e male, quando lo si fa. Altri denunciano che quelli che pregano si disinteressano del mondo e, invece, quelli che vogliono cambiarlo non pregano. La giovane Chiesa cominciò il cammino storico della missione allenandosi nella preghiera comunitaria, e non con un'attività febbrile senza contatto con Cristo e il suo Spirito. L'esempio del Signore, di Maria e degli apostoli è una chiara lezione per tutti noi che seguiamo Gesù. Nella preghiera, che è comunione con Dio, sta la forza della comunità e del cristiano per testimoniare agli altri la presenza di Cristo, Signore glorioso e Salvatore dell'uomo.
       Abbiamo bisogno di pregare sempre, e con intensità ancora maggiore nei momenti di crisi personale o comunitaria, per riaffermare la nostra identità cristiana.
       La preghiera è parlare con Dio come persone libere, anzi come suoi figli. Saper pregare non è difficile: basta parlare con Dio. A volte non è neppure necessario parlare, basta ascoltare. La nostra preghiera può essere individuale o comunitaria, mentale o vocale, spontanea o secondo formule prestabilite: salmi, suppliche, canti, benedizioni. .. e la preghiera per eccellenza, il Padre nostro.
       La preghiera è il clima abituale del cristiano, fino a essere tutto nella nostra vita, come lo fu per Gesù: comunicazione personale con Dio, esperienza del suo amore che ci salva, apertura al dono della salvezza di Dio e coscienza della nostra adozione filiale. La preghiera autentica è la misura della nostra maturità e capacità cristiana di dialogo con il Padre e con i fratelli; è supplica, benedizione e lode a Dio, superamento delle crisi di fede e di speranza, è forza e incoraggiamento nell'opera di ogni giorno.
      Non c'è cristiano, non c'è apostolo, non c'è testimone, senza preghiera personale e comunitaria. Tutti i grandi santi e uomini spirituali di tutti i tempi sono stati cristiani di grande preghiera. Così furono capaci di afferrare il mistero dell'indicibile e trasmetterlo agli uomini loro fratelli. 
       Come nella vita di Gesù e nella Chiesa primitiva, la preghiera è per le comunità di oggi e per ogni credente una virtù «cardinale» che si collega a tutto il panorama del vivere cristiano nei suoi molteplici aspetti: la vita personale, comunitaria, familiare, lavorativa e civile; la fede, l'amore e la speranza; la scelta della verità, del bene, della giustizia, della fratellanza e solidarietà umana.
       Perciò la preghiera è una dimensione indispensabile per una robusta vita cristiana. La preghiera, la contemplazione e l'esperienza di Dio, quando sono autentiche, passano all'azione liberatrice: portano la vita alla preghiera e la preghiera alla vita. Chi crede, spera e crede sempre; chi ama, soffre e ama sempre; e chi prega, è sempre in preghiera, senza limitarsi a spazi circoscritti, come quando è in chiesa, né a orari prefissati, come la messa domenicale o quotidiana. Anche se è buono e vantaggioso stabilire un minimo.
       La preghiera, come la fede, non resta sul piano concettuale; è esperienza personale. Si possiede solo esercitandola e si comprende vivendola. Perciò possiamo crescere sempre di più nella preghiera, come nelle virtù teologali della fede, della speranza e della carità; poiché la preghiera è la loro espressione.
       Se la preghiera scorresse ai margini della vita, non sarebbe altro che una golosità per uso spirituale, un alibi fasullo, un'evasione alienante, un rifugio per la paura o la comodità. I contemplativi autentici, i veri uomini di preghiera, possiedono un'enorme vitalità interiore che si trasmette alla vita e trasformano tutto quello che toccano, senza alcuna rottura tra Dio e i fratelli che vivono nel mondo. Adesso è l'occasione per chiederci quanto e come preghiamo, sia individualmente che comunitariamente.

CONCLUSIONE

        Un affetto che vi segue, vi ascolta, vi parla, vi incontra, gioisce e soffre con voi, prega per voi dal primo giorno è l’affetto che io porto per tutti voi e del quale imploro la Maestà divina di farvelo recepire personalmente.

Voglio regalarvi questa bellissima preghiera del Servo di Dio: D. Dolindo Ruotolo

Perché vi confondete agitandovi? Lasciate a me la cura delle vostre cose e tutto si calmerà. Vi dico in verità che ogni atto di vero, cieco, completo abbandono in me, produce l'effetto che desiderate e risolve le situazioni spinose.

Abbandonarsi a me non significa arrovellarsi, sconvolgersi e disperarsi, volgendo poi a me una preghiera agitata perché io segua voi, e cambiare così l'agitazione in preghiera. Abbandonarsi significa chiudere placidamente gli occhi dell'anima, stornare il pensiero dalla tribolazione, e rimettersi a me perché io solo operi, dicendo: pensaci tu. E contro l'abbandono, essenzialmente contro, la preoccupazione, l'agitazione e il voler pensare alle conseguenze di un fatto.

E come la confusione che portano i fanciulli che pretendono che la mamma pensi alle loro necessità, e vogliono pensarci essi, intralciando con le loro idee e le loro fisime infantili il suo lavoro. Chiudete gli occhi e lasciatevi portare dalla corrente della mia grazia, chiudete gli occhi e non pensate al momento presente, stornando il pensiero dal futuro come da una tentazione, riposate in me credendo alla mia bontà, e vi giuro per il mio amore che, dicendomi con queste disposizioni: pensaci tu, io ci penso in pieno, vi consolo, vi libero, vi conduco.

E quando debbo portarvi in una via diversa da quella che vedete voi, io vi addestro, vi porto nelle mie braccia vi fo trovare, come bimbi addormentati nelle braccia materne, all'altra riva. Quello che vi sconvolge e vi fa male immenso è il vostro ragionamento, il vostro pensiero, il vostro assillamento, ed il volere ad ogni costo provvedere voi a ciò che vi affligge.

Quante cose io opero quando l'anima, tanto nelle sue necessità spirituali quanto in quelle materiali, si volge a me, mi guarda, e dicendomi: pensaci tu, chiude gli occhi e riposa! Avete poche grazie quando vi assillate voi per produrle, ne avete moltissime quando la preghiera è affidamento pieno a me. Voi nel dolore pregate perché io operi, ma perché io operi come voi credete... Non vi rivolgete a me, ma volete voi che io mi adatti alle vostre idee; non siete infermi che domandano al medico la cura, ma, che gliela suggeriscono. Non fate così, ma pregate come vi ho insegnato nel Pater: Sia santificato il tuo nome, cioè sii glorificato in questa mia necessità; venga il tuo regno, cioè tutto concorra al tuo regno in noi e nel mondo; sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra, cioè disponi tu in questa necessità come meglio ti pare per la vita nostra eterna e temporale.

Se mi dite davvero: sia fatta la tua volontà, che è lo stesso che dire: pensaci tu, io intervengo con tutta la mia onnipotenza, e risolvo le situazioni più chiuse. Ecco, tu vedi che il malanno incalza invece di decadere? Non ti agitare, chiudi gli occhi e dimmi con fiducia: Sia fatta la tua volontà, pensaci tu. Ti dico che io ci penso, e che intervengo come medico, e compio anche un miracolo quando occorre. Tu vedi che l'infermo peggiora? Non ti sconvolgere, ma chiudi gli occhi e di': Pensaci tu. Ti dico che io ci penso, e che non c'è medicina più potente di un mio intervento di amore. Ci penso solo quando chiudete gli occhi.

Insonni, tutto vogliamo valutare, tutto scrutare, confidando solo negli uomini. Voi siete insonni, voi volete tutto valutare, tutto scrutare, a tutto pensare, e vi abbandonate così alle forze umane, o peggio agli uomini, confidando nel loro intervento. E questo che intralcia le mie parole e le mie vedute. Oh, come io desidero da voi questo abbandono per beneficarvi, e come mi accoro nel vedervi agitati! Satana tende proprio a questo: ad agitarvi per sottrarvi alla mia azione e gettarvi in preda delle iniziative umane. Confidate perciò in me solo, riposate in me, abbandonatevi a me in tutto. Io fo miracoli in proporzione del pieno abbandono in me, e del nessuno pensiero di voi; io spargo tesori di grazie quando voi siete nella piena povertà! Se avete vostre risorse, anche in poco, o, se le cercate, siete nel campo naturale, e seguite quindi il percorso naturale delle cose, che è spesso intralciato da satana. Nessun ragionatore o ponderatore ha fatto miracoli, neppure fra i Santi; opera divinamente chi si abbandona a Dio.

Quando vedi che le cose si complicano, di' con gli occhi dell'anima chiusi: Gesù, pensaci tu. E distràiti, perché la tua mente è acuta... e per te è difficile vedere il male e confidare in me distraendoti da te. Fa' così per tutte le tue necessità; fate così tutti, e vedrete grandi, continui e silenziosi miracoli. Ve lo giuro per il mio amore. Ed io ci penserò, ve lo assicuro. Pregate sempre con questa disposizione di abbandono, e ne avrete grande pace e grande frutto, anche quando io vi fo la grazia dell'immolazione di riparazione e di amore, che importa la sofferenza. Ti sembra impossibile? Chiudi gli occhi e di' con tutta l'anima: Gesù pensaci tu. Non temere, ci penserò e benedirai il mio nome umiliandoti. Mille preghiere non valgono un atto solo di abbandono: ricordatelo bene. Non c'è novena più efficace di questa:
O Gesù m'abbandono in Te, pensaci tu!

       A tutti, la Benedizione del Signore, con l’intercessione di san Tommaso. Non abbiate paura: ancora dite Sì, nella Letizia, nella Fortezza e nella Perseveranza. Chi persevererà in questo sino alla fine: sarà salvato. Io ve lo prometto nel nome del Signore.

                                                                                                                                                         d. Pino
                                                                                                          con p. Giorgio e il Diac. Tommaso


Ortona, 3 dicembre 2017, Prima domenica d’Avvento