Arcidiocesi di Lanciano-Ortona
Comunità Parrocchiale san Tommaso apostolo Ortona
Lettera Pastorale 2019-2020
(Quest’anno vi propongo una riflessione riciclata. Ma la condivido con voi a distanza di qualche anno, perché sempre attuale.)
Noi crediamo, io credo
Un utile paradigma per pensare, verificare e agire...
Gli orientamenti pastorali del decennio, che si chiude quest’anno 2020, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 25, attingendo alla relazione tra Gesù maestro e i suoi discepoli, secondo la narrazione giovannea, è offerta una mappa progettuale utile per ripensare, verificare e progettare i percorsi formativi al servizio dell’atto di fede. La sequenza suggerisce una dimensione pedagogica. Suscitare e riconoscere un desiderio, provocando e valorizzando ciò che l'uomo e la donna hanno in se; il coraggio della proposta, offrendo un invito esplicito; accettare la sfida, che implica da parte dell'educatore pazienza, gradualità e reciprocità; perseverare nell'impresa, che implica coinvolgimento e passione e non automatismo e inerzia; accettare di essere amato, che chiede il riconoscimento della novità in atto, dove al centro non c’è l’attivismo dell’io ma la passività dell’io; infine, vivere la relazione d'amore, come segno concreto della libertà del dono ricevuto.
Un io che diventa un noi: l’esperienza di Tommaso
Tommaso è una tipica figura giovannea, che riflette l’esperienza del discepolo sopra richiamata. L’evangelista traccia un profilo della sua personalità e del suo percorso di fede. L’itinerario di fede di Tommaso si può descrivere in questi termini: una disponibilità incondizionata a morire con il maestro (Gv 11,16); un punto di rottura (Gv 14,5); una regressione ad una fede posta sotto condizione (Gv 20,25); per arrivare ad una confessione piena (Gv 20,28)
La fede incondizionata
Nel contesto del capitolo 11 del Vangelo di Giovanni, Tommaso afferma: “Andiamo anche noi e moriamo con lui" (Gv 11,16). Siamo nel contesto dell’informazione ricevuta da parte di Gesù, della morte del suo amico Lazzaro. Egli manifesta il desiderio di muoversi verso Betania. Ma in questo territorio c’è il problema dei giudei, che dopo l’affermazione di Gesù sulla sua divinità, hanno tentato di lapidarlo. Riesce a sfuggire alla loro cattura. La minaccia per la vita di Gesù non è cessata, ma continua. Al v.16 del capitolo 11 compare Tommaso, chiamato didimo (gemello). Tale definizione esprime un valore simbolico, perché egli rappresenta sia il dubbio che la fede. Ma Tommaso dimostra un accentuato coinvolgimento: addirittura sprona i suoi con discepoli a rischiare davanti al loro titubare (11,8). Se si può rimanere ammirati da tanta disponibilità, in realtà le finalità del discepolo e del maestro sono diverse: Gesù infatti guarda con serenità e con gioia la morte di Lazzaro… come momento favorevole per fare crescere la fede dei discepoli. Tommaso è accompagnato da un interiore sentimento tragico e funesto che ha come orizzonte la morte del maestro. C’è un profondo contrasto. Tra l’altro Gesù stesso afferma che nessuno dei discepoli morirà con lui (16,32 e 18,8-9). In sintesi, emergono due dati. Da una parte il desiderio di avere parte con Lui, ma dall’altra radicalizzare questa solidarietà cogliendo la parte carnale del mistero di Gesù. Questa sua determinazione nel seguire il Maestro è davvero esemplare e ci offre un prezioso insegnamento: rivela la totale disponibilità ad aderire a Gesù, fino ad identificare la propria sorte con quella di Lui ed a voler condividere con Lui la prova suprema della morte. In effetti, la cosa più importante è non distaccarsi mai da Gesù. D'altronde, quando i Vangeli usano il verbo "seguire" è per significare che dove si dirige Lui, là deve andare anche il suo discepolo. In questo modo, la vita cristiana si definisce come una vita con Gesù Cristo, una vita da trascorrere insieme con Lui.
Un punto di rottura
Nel contesto dell’ultima cena, Pietro pone una domanda: Signore dove vai? (13,36). Gesù risponde che i discepoli sanno e conoscono anche la via (14,4-5). Tommaso riprende la domanda di Pietro e di fatto nega ciò che Gesù ha appena detto: “Signore non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via?” (14,5). Gesù rilancia con la grande rivelazione salvifica: Io sono la via la verità la vita (Gv 14,6). Questo dialogo, serrato, è il punto di rottura dell’esperienza credente di Tommaso: lui che voleva percorrere la via con Cristo in realtà ora ammette la propria ignoranza della meta perseguita da Gesù. La certezza nei confronti della vita di Gesù è notevolmente regredita: non è più il personaggio così sicuro intravisto in 11,16. È primariamente a Tommaso che viene fatta questa rivelazione, ma essa vale per tutti noi e per tutti i tempi. Ogni volta che noi sentiamo o leggiamo queste parole, possiamo metterci col pensiero al fianco di Tommaso ed immaginare che il Signore parli anche con noi così come parlò con lui. Nello stesso tempo, la sua domanda conferisce anche a noi il diritto, per così dire, di chiedere spiegazioni a Gesù. Quali sono i nostri punti di rottura nel rapporto con Cristo? Quando ci areniamo? Quando perdiamo l’orizzonte di un cammino?
La pretesa di un assente
Il gruppo, dopo la dispersione annunciata da Gesù (16,32) è ricomposto dall’annuncio della Maddalena (Gv 20,17). Chi manca? Tommaso. L’evangelista non ci dice nulla sul motivo della sua assenza. Comunque si registra una forte distanza tra il coraggioso Tommaso che spinge il gruppo (11,16) e il Tommaso assente (20,24). Ma in 20,24 abbiamo un segnale che ci permette di fare alcune considerazioni: egli è definito uno dei dodici. Giovanni non spiega mai chi siano i dodici. Fino a questo punto del Vangelo l’espressione è usata solo per Giuda (6,67-70; 12,4; 18,2-5). L’indicazione ci fa capire la rilevanza di Tommaso: non è semplicemente un discepolo ma uno dei fondatori. La sua assenza è importante. Il messaggio pare chiaro: come Giuda, anche Tommaso non sta insieme al gruppo. L’evangelista ci comunica una regressione nel cammino di fede di Tommaso. Alcune considerazioni su questa assenza: Tommaso è presente all’annuncio della Maddalena (nulla fa pensare il contrario). È assente alla prima apparizione… Qui forse, si apre un dialogo (v.25): i discepoli dicevano a Tommaso: Abbiamo visto il Signore. Si ha la percezione (uso dell’imperfetto che dice non un discorso istantaneo ma prolungato e ripetuto) che Tommaso si sia sentito rivolgere questa affermazione più volte. La risposta di Tommaso è emblematica (v.25): Parla così chi è esasperato… Ma in realtà questa è una presa di posizione che permette un passo avanti: non cede all’indifferenza ma fa emergere i suoi dubbi. Tanto è vero che lo troviamo otto giorni dopo nel luogo con gli altri (20,26). La richiesta di 20,25 recupera Tommaso. Egli detta le sue condizioni di fede. Qui abbiamo la svolta nella vicenda di Tommaso: da una disponibilità incondizionata (11,6) , poi smentita fino al rifiuto del kerygma, al ritrovare disponibilità per un atto di fede. Tommaso perviene alla fede, ma in termini diversi rispetto a quelli da lui posti. Quanto al contenuto riconosce non solo la signoria ma la divinità. Quanto al modo egli crede attraverso un vedere che va oltre il semplice vedere i segni della passione, perché passa attraverso la conoscenza e l’obbedienza della parola di Gesù. Ma il vedere non è sottovalutato. Anzi come Natanaele (1,45-51) Tommaso è posto dall’evangelista come portatore di un’esperienza complessiva. Il Vangelo di Giovanni vuole far vedere come ai testimoni oculari sia stato possibile VEDERE – UDIRE – CREDERE. Tommaso appartiene ad una forma diretta della fede che non ha però fatto meno del kerygma. Inoltre è un vedere proiettato al futuro Beatitudine di coloro che credono senza vedere (20,29). Questa promessa si comprende alla luce di Gv 20,30-31: il Vg intende non solo far vedere ma anche insegnare a vedere. C’è dunque bisogno della dinamica testimoniale.
Tommaso “curato” da Gesù
Il caso dell'apostolo Tommaso è importante per noi per almeno tre motivi: primo, perché ci conforta nelle nostre insicurezze; secondo, perché ci dimostra che ogni dubbio può approdare a un esito luminoso oltre ogni incertezza; e, infine, perché le parole rivolte a lui da Gesù ci ricordano il vero senso della fede matura e ci incoraggiano a proseguire, nonostante la difficoltà, sul nostro cammino di adesione a Lui. Ripercorrendo questa vicenda ci si accorge come Gesù ha un intervento ampio sulla persona di Tommaso. Egli educa una dimensione simbolica: accompagna il suo discepolo a transitare da un semplice guardare al sapere andare più in profondità nell’esperienza vissuta. Tommaso perde il filo: Gesù lo sollecita, educando la dimensione narrativa, ad andare oltre l'attimo del presente per sentirsi parte di una storia. Tommaso ad un certo punto si ripiega su di sé: Gesù gli propone la dimensione della gratuità, cioè di andare oltre la sola autorealizzazione per porre nel proprio orizzonte il valore fondamentale del dono di sé. Tommaso fa riemergere il suo “io” a discapito del noi. Non solo Gesù, ma la comunità propone la dimensione dell’alterità: cioè andare oltre la concezione individualista per aprirsi all'altro e alla ricerca del bene comune. Complessivamente, Gesù propone la dimensione della creatività. Chiede a Tommaso di andare oltre il semplice adattamento a ciò che accade per aprirsi ad uno sguardo diverso sul futuro. Infine, Tommaso, è costantemente custodito da Gesù ed è stimolato egli stesso ad andare oltre la logica del possesso per crescere nella logica della cura. Gesù ricolloca Tommaso in quel luogo che i vangeli sinottici chiamano “la stanza superiore”: è il luogo nel quale Gesù manifesta la sua divina umanità nei gesti del pane donato e del vino versato. È verso quel luogo che il discepolo deve tendere ma anche ripartire. Scrive a tal proposito don Tonino Bello:
“Salire al piano superiore significa contemplare la vita dalle postazioni prospettiche del Regno di Dio. Assumere la logica del Signore nel giudicare le vicende della storia. Allargare gli orizzonti fino agli estremi confini della terra. Non lasciarsi sedurre dall’effimero, o intristire dalla banalità del quotidiano. Introdurre nei propri criteri di valutazione la misura dei tempi lunghi. Non comprimere l’esistenza nelle strettoie del tornaconto, nei vicoli ciechi dell’interesse, nei labirinti delle piccole ritorsioni. Non deprimersi per i sussurri del pettegolezzo da cortile, o per le. grida dello scandalo farisaico, o per l’avvilimento improvviso di un’immagine puntigliosamente curata. Superare la freddezza di un diritto senza carità, ... di un calcolo senza passione... Non lasciarsi sedurre dalle programmazioni elaborate allo spasimo, e saper sorridere della nostra inettitudine costituzionale delirante di efficienza. Salire al piano superiore significa non accontentarsi dell’armamentario delle nostre virtù umane: perché se l’istintiva docilità non diviene obbedienza allo Spirito, se l’innata bontà non tocca le sponde della comunione trinitaria, se le attese calcolate non trascendono verso i traguardi della speranza ultramondana, se l’indulgenza congenita non si trasfigura in perdono trinitario..., allora si rimarrà sempre al pianterreno di un’abitazione, le cui finestre non saranno mai scosse dal vento rinnovatore dello Spirito.”
(don Tonino BELLO, Maria, donna del terzo giorno,
La Meridiana, Terlizzi 1988, 49s)
Con immutato affetto, d. Pino, p. Giorgio e Diac. Tommaso